La Cassazione, con la sentenza n. 16077/20 depositata il 28 luglio 2020, è tornata ad affrontare un contenzioso relativo ad una vettura difettosa.
A seguito della proposizione, da parte dell’acquirente, dell’azione di risoluzione del contratto di compravendita per vizi che la rendevano inidonea all’uso, la Suprema Corre ha esaminato le conseguenze sull’obbligazione di restituzione del prezzo a carico della concessionaria, nel caso in cui il compratore abbia utilizzato l’autovettura per tutto il tempo della durata del giudizio di risoluzione del contratto.
E, accogliendo il ricorso del venditore, ha stabilito il principio secondo il quale, all’esito del giudizio di risoluzione, deve essere ripristinato l’equilibrio originario tra le parti contrattuali, equilibrio che verrebbe frustrato se al compratore fosse restituito l’intero prezzo a fronte della restituzione di una vettura utilizzata per un tempo considerevole. In altre parole, se la vendita è risolta per vizi della cosa, bisogna tenere conto della perdita di valore dovuta all’uso che ne ha abbia fatto il compratore.
La restituzione integrale del prezzo dell’auto difettosa
L’acquirente di un’autovettura aveva citato in giudizio la concessionaria presso cui aveva acquistato l’automobile, per i vizi riscontrati ed accertati con accertamento tecnico preventivo espletato dopo l’acquisto. I vizi, incidenti sulla regolare marcia del veicolo, rendevano l’auto inidonea all’uso e per tale motivo l’acquirente aveva chiesto al tribunale la risoluzione del contratto e la restituzione del prezzo pagato.
Il Tribunale di Messina, accogliendo la domanda, aveva risolto il contratto condannando il concessionario alla restituzione dell’intero prezzo della vettura, 32.795,01, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo. Decisione sostanzialmente confermata anche dalla Corte d’Appello messinese.
Di qui il ricorso per Cassazione della concessionaria, che ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490 e 1492 del codice civile, alla luce della disparità di trattamento sulla reciprocità degli effetti restitutori conseguenti alla restituzione: infatti, mentre l’acquirente aveva restituito la vettura dopo averla utilizzata per tutto il tempo di pendenza della controversia (l’acquisto del veicolo era avvenuto nel 2000, mentre la sentenza di primo grado era intervenuta quattro anni dopo e quella di appello sette anni dopo l’acquisto), la concessionaria era stata invece condannata, in ragione della risoluzione, a restituire l’intero prezzo ricevuto al momento del contratto di vendita della vettura.
Ebbene, La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del venditore d’auto, non solo in punto di violazione e falsa applicazione degli artt. 1490 e 1492 c.c, ma anche per vizio di omesso esame del fatto decisivo riconducibile alla mancata valutazione degli effetti retroattivi della risoluzione del contratto, di cui agli artt. 1453 e 1458 del codice civile.
In primis i giudici del Palazzaccio hanno chiarito che, sebbene la domanda di restituzione del bene oggetto della compravendita non debba essere esplicitamente avanzata nella causa avente ad oggetto la risoluzione del contratto, il venditore deve formulare un’apposita domanda giudiziale, quando intende chiedere che il giudice tenga conto della perdita di valore del bene restituito, ai fini della rideterminazione del prezzo da restituire al compratore.
Nel caso di specie, la concessionaria d’auto aveva formulato, sin dall’atto introduttivo della causa, la domanda di rideterminazione del prezzo da restituire, perché aveva subito chiesto che, in caso di accoglimento della domanda di risoluzione avanzata dall’acquirente, fosse opportunamente ridotto l’importo del prezzo da restituirgli, operando una parziale compensazione tra il valore di svalutazione del bene restituito e il prezzo da restituire all’acquirente.
Il quadro normativo della materia
Poi la Corte procede ad esaminare gli istituti giuridici posti a base del principio di retroattività della sentenza costitutiva di risoluzione del contratto, e le conseguenze in tema di vizi nella compravendita. L’art. 1458 c.c. prevede che la risoluzione del contratto per inadempimento produce non solo efficacia ex nunc (liberando le parti dalle prestazioni ancora da eseguire) ma anche un effetto ex tunc, che incide sulle prestazioni già eseguite.
Nel contratto di compravendita, in presenza di vizi che rendono la cosa acquistata inidonea all’uso o che ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore (art. 1490 c.c.), l’acquirente può domandare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1492 c.c. (c.d. azione redibitoria), alternativa all’azione di riduzione del prezzo (c.d. actio quanti minoris). L’azione redibitoria di cui all’art. 1492 c.c rientra nello schema generale della risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1458 c.c., producendo effetti ex nunc ed effetti ex tunc. Gli effetti della risoluzione del contratto di compravendita, in conseguenza dell’azione redibitoria, sono disciplinati dall’art 1493 che obbliga il venditore a restituire il prezzo e rimborsare al compratore le spese e i pagamenti fatti per la vendita, ed il compratore a restituire la cosa.
A questo punto gli Ermellini sviluppano il ragionamento giuridico a sostegno del diritto del venditore di veder rideterminato il prezzo da restituire quando la cosa restituita sia stata usata ed abbia pertanto perduto di valore. La Cassazione, Corte, esaminando quest’ultima obbligazione di restituzione della cosa da parte del compratore, rileva che essa deve essere compiuta in modo tale da rispettare il nesso sinallagmatico del contratto di compravendita, e garantire quindi l’originario equilibrio delle prestazioni corrispettive del contratto di compravendita.
La sentenza di risoluzione del contratto deve tenere conto della perdita di valore del bene
Se, pertanto, la parte inadempiente, che ha venduto la cosa viziata, deve restituire il prezzo di vendita, anche il compratore deve essere in grado, al momento della pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto, di restituire la cosa nell’originaria condizione di quando fu acquistata. A tal fine, il compratore può impegnarsi a custodire la cosa nello stato di fatto in cui si trovava al momento dell’introduzione del giudizio di risoluzione oppure, metterla immediatamente a disposizione del venditore al momento dell’introduzione dell’azione redibitoria.
Se invece il compratore, come era avvenuto nel caso di specie, ha utilizzato della cosa per un tempo apprezzabile e fino alla conclusione del giudizio, è evidente che al momento della pronuncia risolutiva egli non sarà in grado di restituire l’oggetto nelle condizioni originarie in cui si trovava al momento dell’acquisto. Non è quindi equilibrato, a parere della Suprema Corte, imporre al venditore l’intera restituzione del prezzo, a fronte della restituzione della cosa deperita o comunque fisiologicamente svalutata per l’uso che ne è stato fatto.
A fronte di apposita domanda giudiziale proposta dal venditore, pertanto, la sentenza di risoluzione del contratto deve tenere conto della perdita di valore del bene restituito, e a tal fine il giudice deve operare la rideterminazione del prezzo da restituire al compratore, equilibrata ed effettivamente corrispondente al valore del bene dopo il prolungato utilizzo.
La Suprema Corte, accogliendo quindi il ricorso della concessionaria d’auto, ha infine pronunciato il seguente principio di diritto: “In virtù dell’operatività del nesso sinallagmatico che connota il contratto di vendita ed in dipendenza degli effetti retroattivi riconducibili alla risoluzione contrattuale (ai sensi dell’art. 1458 c.c., comma 1, in correlazione con l’art. 1493 c.c.), nella determinazione del prezzo da restituire al compratore di un’autovettura che abbia agito vittoriosamente in redibitoria si deve tener conto dell’uso del bene fatto dal medesimo, dovendosi, sul piano oggettivo, garantire l’equilibrio anche tra le reciproche prestazioni restitutorie delle parti ed evitare un’illegittima locupletazione dell’acquirente, ove lo stesso abbia continuato ad utilizzare il bene (ancorché accertato come viziato ma non completamente inidoneo al suo uso), determinandone una sua progressiva e fisiologica perdita di valore”.