E’ legittima una multa comminata attraverso un verbale notificato due giorni dopo rispetto ad una contestazione “orale” per un’infrazione del codice della strada, ed effettuata da un agente fuori servizio?
Per la Cassazione sì. Con l’ordinanza 20529/20 depositata il 29 settembre 2020 la Suprema Corte ha definitivamente respinto il ricorso di un’automobilista veneziana, che aveva impugnato due verbali “irrituali” avanti il giudice di pace di Mestre.
Un agente fuori servizio “multa” un’automobilista
La vicenda. Nell’aprile del 2010 un agente di Polizia di Frontiera, libero dal servizio ma in divisa, a bordo di un’auto civile, aveva affiancato la macchina condotta dalla donna, contestandole a voce svariate violazioni al codice della strada, in particolare più sorpassi in corrispondenza di curve o di dossi su tratti di strada segnalati da doppia striscia longitudinale continua. Probabilmente l’automobilista pensava si trattasse di una ramanzina, e invece a distanza di due giorni dall’accertamento delle infrazioni, si è vista notificare due verbali.
Giudice di Pace e tribunale respingono l’opposizione al verbale
Il giudice di Pace, tuttavia, aveva rigettato l’opposizione presentata dalla donna, sentenza confermata anche in appello dal Tribunale di Venezia: secondo i giudici, gli agenti di polizia, abilitati al servizio di polizia stradale, operano su tutto il territorio nazionale e debbono ritenersi sempre in servizio.
Nello specifico, il poliziotto, nel momento in cui aveva affiancato la vettura, era in divisa e aveva intimato “l’alt” con segnale manuale, e la mancata redazione immediata del verbale di contestazione doveva ritenersi giustificata, essendo plausibile che l’agente accertatore, in viaggio per raggiungere il proprio posto di lavoro, non disponesse dei moduli per redigere il verbale.
La fede privilegiata dei fatti attestati dal pubblico ufficiale
Il tribunale, condividendo la valutazione del giudice di pace, aveva chiarito che, al fine di contestare i fatti descritti nel verbale, sarebbe occorsa una querela di falso, trattandosi di fatti che il pubblico ufficiale attestava essere avvenuti in sua presenza e, quindi, muniti di fede privilegiata. I giudici avevano poi aggiunto che l’errore incorso nel verbale quanto alla descrizione della segnaletica sui tratti di strada dove sarebbero avvenuti i sorpassi, segnalati da una sola striscia continua invece che una doppia striscia, non incideva comunque sulla sussistenza dell’illecito, essendo il sorpasso vietato anche se la striscia continua non è doppia, soprattutto in prossimità di dossi.
E analoga considerazione veniva proposta in ordine all’indicazione di un identico orario per tutte violazioni, rilevando che tale incongruenza, in presenza di violazioni realizzate nello spazio di pochi chilometri, non incideva sulla coerenza dell’accertamento e della verbalizzazione nel suo complesso.
Il ricorso per Cassazione, che lo respinge
L’automobilista, tuttavia, per nulla convinta è voluta andare fino in fondo presentando ricorso anche per Cassazione, ed eccependo in primis sull’applicazione dell’art. 24 del Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada: la norma, nel consentire agli agenti di polizia stradale in uniforme di intimare l’Alt manuale, secondo le tesi della ricorrente doveva riferirsi a casi nei quali la divisa e il distintivo fossero chiaramente percepibili dal soggetto destinatario dell’ordine, mentre la dinamica dei fatti avrebbe smentito tale possibilità di percezione.
Ma il motivo è infondato secondo la Suprema Corte, che condivide la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, laddove questi aveva riconosciuto che ricorrevano nella specie i presupposti che consentivano all’agente di intimare l’alt manuale in base alla norma del regolamento. E comunque sia, fa notare la Cassazione, si trattava di una questione irrilevante: all’automobilista non era stata contestata la violazione dell’art 192 del Nuovo codice della strada, avendo essa ottemperato all’intimazione dell’Alt impartita dall’agente.
Per la ricorrente la contestazione doveva essere immediata
La doglianza principale della ricorrente riguardava la presunta violazione dell’art. 200 del Nuovo codice della strada: la contestazione, a suo dire, avrebbe dovuto essere fatta immediatamente, e la motivazione addotta dal tribunale per giustificare la contestazione differita (la indisponibilità dei moduli per redigere il verbale) sarebbe stata del tutto inidonea.
La Cassazione ricorda che la contestazione può anche non essere contestuale
Ma anche questo motivo è infondato per gli Ermellini, che spiegano: “L’operazione di accertamento delle violazione al C.d.S. si sviluppa nei tre momenti della contestazione, della verbalizzazione e della consegna della copia del verbale”. La contestazione, ammettono i giudici, deve essere immediata, con la conseguenza che ogni qualvolta tale contestazione sia possibile, essa non può essere omessa, a pena d’illegittimità dei successivi atti del medesimo procedimento.
“Tuttavia – puntualizzano – l’art. 201 C.d.S. contempla l‘eventualità che l’immediata contestazione dell’infrazione non risulti in concreto possibile e stabilisce che, in tale ipotesi, il verbale debba essere notificato al trasgressore con l’indicazione della circostanza impeditiva”.
La verbalizzazione segue la già avvenuta contestazione
La “verbalizzazione”, proseguono gli Ermellini, è operazione distinta e successiva, rispetto alla già “avvenuta” contestazione: “a norma del terzo comma dell’art. 200 C.d.S., copia del verbale deve essere consegnata al trasgressore, e la contestazione deve ritenersi immediatamente avvenuta, anche se la consegna del verbale (per validi motivi) non segua nello stesso contesto di tempo, allorquando il contravventore sia stato fermato ed il pubblico ufficiale gli abbia indicato la violazione commessa e lo abbia posto in grado di formulare le proprie osservazioni”.
L’ultima ipotesi è appunto quella riscontrabile nel caso in esame, “in considerazione della dinamica dei fatti e del contenuto dei verbali oggetto di opposizione”, nei quali, sottolinea la sentenza, è contenuta infine la seguente menzione: “Violazione contestata successivamente oralmente al trasgressore, in quanto libero dal servizio e con veicolo privato”. L’avverbio “successivamente”, precisa ulteriormente la Suprema Corte, non allude a una contestazione differita fatta con la postuma verbalizzazione, ma all’accertamento delle violazioni, già contestate oralmente.
I rilievi operati dal tribunale a questo proposito, e cioè che era plausibile che l’agente, in viaggio per raggiungere il posto di lavoro, non disponesse dei moduli per redigere il verbale, in realtà non sono perciò da riferire alla carenza della contestazione immediata, proseguono nei loro chiarimenti i giudici del Palazzazzio, “ma al differimento della verbalizzazione di una contestazione già avvenuta, in conformità alla menzione fatta nei due verbali. D’altra parte, non risulta che la (omissis) nei motivi di opposizione abbia specificato quale delle garanzie previste dalla legge per la difesa delle ragioni del trasgressore sarebbero state sacrificate o compresse in virtù della contestazione verbale delle infrazioni.
Nello stesso tempo nessuna violazione o limitazione al diritto di difesa è derivata dalla mancata immediata redazione del verbale della già avvenuta contestazione, verbale che è stato poi notificato all’interessata con l’espressa precisazione che la contestazione era avvenuta oralmente”. Peraltro, la Suprema Corte, controbattendo alla ricorrente, ritiene del tutto logica e plausibile la motivazione addotta dal tribunale per giustificare la momentanea indisponibilità dei moduli.
Infine, l’automobilista ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., sostenendo che non poteva riconoscersi fede privilegiata alla descrizione dei fatti operata dall’agente con i due verbali, trattandosi di circostanze oggetto di percezione sensoriale, suscettibili di errori di fatto, e rilevando appunto gli errori incorsi nei verbali quanto alla descrizione della segnaletica e l’incongruenza derivante dalla indicazione, negli stessi verbali, di un orario unico per le tre violazioni.
Gli atti del pubblico ufficiale fanno fede fino a querela di falso
Ma anche qui la Cassazione le dà torto, concludendo che “nel procedimento di opposizione ad ordinanza ingiunzione relativa al pagamento di una sanzione amministrativa, sono riservati al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell’operato del pubblico ufficiale, la proposizione e l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale della realtà degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti, pur quando si deducano errori od omissioni di natura percettiva da parte dello stesso pubblico ufficiale.
Sono ammesse la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto, inerenti alla violazione, che non siano attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva”.
Circostanza che non si potrebbe nello specifico, in quanto anche per la Cassazione gli errori contenuti nel verbale non incrinavano la sussistenza dell’illecito, “atteso che è vietato il sorpasso anche se la linea bianca non è doppia, specialmente in prossimità di dossi”, e perché, in presenza di violazioni realizzate nello spazio di pochi chilometri, “il dato temporale non è tale da incidere sulla coerenza dell’accertamento e delle verbalizzazione nel suo complesso”.
Ergo, ricorso definitivamente respinto.