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Notizie e casi esemplari in cui spieghiamo cosa dice la legge e chiariamo alcuni punti del codice della strada.

Auto in sosta con climatizzatore acceso: rischio di multe salate

14 Dicembre 2020/0 Commenti/in Codice della Strada /da admin_rf

Nei mesi estivi, soprattutto in caso di estati particolarmente torride, l’aria condizionata in auto è irrinunciabile, ma attenzione a non infrangere le regole.

Molti automobilisti, infatti, hanno l’abitudine di accendere il motore con l’auto ferma per alcuni minuti per raffrescare l’abitacolo prima di partire. E lo stesso discorso vale anche in inverno quando, al contrario, si è soliti tenere il riscaldamento acceso per il tempo sufficiente ad alzare la temperatura e magari a “spannare” i vetri del veicolo.

Il CdS vieta di tenere il motore acceso a veicolo fermo per azionare l’aria condizionata

Se queste operazioni si effettuano nella propria proprietà, fermo restando che comunque inquinano, non sono di fatto perseguibili, ma se le si compie per strada o in luogo pubblico si è sanzionabili. Il Codice della Strada, infatti, più precisamente l’art. 157 comma 7 bis, fa “divieto di tenere il motore acceso, durante la sosta del veicolo, allo scopo di mantenere in funzione l’impianto di condizionamento d’aria nel veicolo stesso”.

Sanzioni salate per i trasgressori

I trasgressori sono soggetti alla “sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 218 ad euro 435”. Quindi, ricapitolando: nel momento in cui la vettura è ferma, non si può lasciare il motore acceso appositamente per far funzionare l’aria condizionata.

Ovviamente, come detto, la norma è valida sia nel periodo estivo che in quello invernale.

Una norma discussa dalle finalità ambientali

Introdotta nel 2007 e modificata tre anni dopo, la regola che vieta di sostare con l’aria condizionata accesa ha il chiaro scopo di evitare l’immissione nell’atmosfera di gas di scarico non necessari, essendo l’auto non in movimento. Si tratta quindi di una disposizione tutto sommato condivisibile e che, tra le altre cose, ha il vantaggio di ridurre lo spreco di carburante.

La norma italiana si adegua alle indicazioni europee che arrivano dalle esperienze più significative che in Europa sono state quelle di Londra e Madrid. La capitale britannica è stata la prima città a sanzionare i veicoli fermi con il motore acceso con una legge cittadina molto restrittiva. Se un Bobby, il classico agente metropolitano londinese, sorprende una qualsiasi auto ferma con il motore acceso, anche un taxi, la sanzione è immediata.

L’agente intima che il motore venga spento e poi presenta una multa da 20 pounds, una trentina di euro. Si deve pagare subito e in contanti, viceversa l’auto non può ripartire e viene sottoposta a un fermo. Madrid ha seguito dopo pochi anni l’esempio di Londra: qui la multa arriva a sfiorare i cento euro.

Nel nostro Paese, in verità, le multe sul genere non è che abbondino, né risultano particolari contenziosi in materia. Ciò nonostante, la norma desta diverse perplessità tra gli utenti della strada: ad esempio, c’è chi sostiene che essa andrebbe applicata solo nelle grandi città, laddove l’emergenza smog è più marcata, mentre altri suggeriscono di restringerla ai soli veicoli a benzina o a diesel, esentando dal divieto i mezzi più ecologici.

In un nostro precedente articolo abbiamo parlato anche di come igienizzare adeguatamente il condizionatore dell’auto.

La regola vale per la “sosta”, non per la “fermata”

Va comunque ricordato il divieto si intende limitato alla “sosta del veicolo” e non alla “fermata”. Si tratta di una differenza molto importante, peraltro chiaramente disciplinata dallo stesso CdS, art. 157 comma 1: “per sosta si intende la sospensione della marcia del veicolo protratta nel tempo, con possibilità di allontanamento da parte del conducente”.

Mentre “per fermata si intende la temporanea sospensione della marcia anche se in area ove non sia ammessa la sosta, per consentire la salita o la discesa delle persone, ovvero per altre esigenze di brevissima durata”.

Perciò nel caso di breve fermata non è necessario spegnere il motore e si può tranquillamente continuare a usufruire del climatizzatore.

 

Vietato l’uso del cellulare anche se fermi al semaforo rosso

27 Ottobre 2020/0 Commenti/in Codice della Strada /da admin_rf

Anche se si è fermi al semaforo rosso parlare al cellulare non è consentito e sarebbe inutile contestare la relativa sanzione. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23331/20 depositata il 23 ottobre 2020, con la quale ha definitivamente respinto il ricorso di un automobilista pizzicato e sanzionato mentre utilizzava il telefonino, senza auricolare e senza viva voce, mentre era fermo in macchina a un semaforo in attesa che scattasse il verde.

Il divieto di far uso del cellulare, infatti, permane anche in caso di interruzione della marcia del veicolo dovuta a esigenze della circolazione.

 

Automobilista multato per uso del cellulare ricorre al Giudice di Pace

L’uomo aveva proposto opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione con la quale gli era stata irrogata una sanzione a seguito della contestazione della violazione degli artt. 173, comma 2, e 146, comma 3, del Codice della strada per aver fatto appunto uso durante la guida del telefono cellulare senza auricolare o apparato vivavoce e per aver proseguito la marcia nonostante il semaforo rosso.

Ricorsi respinti sia in primo sia in secondo grado

Il giudice di pace aveva accolto il ricorso per quanto riguarda la violazione dell’art. 146, comma 3, del codice della strada relativa all’attraversamento dell’incrocio con semaforo rosso, ma aveva confermato l’ordinanza ingiunzione per la violazione dell’articolo 173 relativa all’uso del telefono durante la guida.

L’automobilista aveva quindi appellato la sentenza avanti al Tribunale di Torino che tuttavia, quale giudice di secondo grado, aveva rigettato l’impugnazione, rigettando tutti i motivi di appello compreso quello relativo alla mancanza di prova circa il fatto che il veicolo guidato dal ricorrente si trovasse in movimento al momento dell’accertamento: il verbale, infatti, secondo i giudici territoriali, faceva piena prova fino a querela di falso di quanto accertato dall’agente verbalizzante e, peraltro, la prova che il veicolo si trovasse in movimento sarebbe stata superflua.

Si va in Cassazione, ma la Suprema Corte respinge le doglianze

L’automobilista ha quindi proposto ricorso anche per Cassazione sulla base di quattro motivi. Quello che qui preme è il terzo, con il quale il ricorrente è tornato ad obiettare come non vi fosse alcuna prova della situazione di marcia del veicolo ma si facesse riferimento alla sola guida, mentre, ai sensi dell’articolo 157 del codice della strada, quest’ultima non si sarebbe potuta equiparare alla situazione di marcia.

Per la Suprema Corte però il motivo è manifestamente infondato. “Il ricorrente – spiegano gli Ermellini – è stato sanzionato perché durante la guida, mentre impegnava un incrocio, faceva uso di un apparecchio radio telefonico. In proposito la sentenza impugnata risulta correttamente motivata nella parte in cui afferma che il verbale fa piena prova fino a querela di falso circa il fatto che la vettura era in movimento e la censura del ricorrente non si confronta con tale affermazione”.

Anche in caso di arresto per esigenze di circolazione permane il divieto di usare il telefonino

In ogni caso, precisa comunque la Cassazione venendo al cuore della questione, “l’art. 157 c.d.s. dispone che per arresto si intende l’interruzione della marcia del veicolo dovuta ad esigenze della circolazione e, in questi casi, permane il divieto di usare di apparecchi radiotelefonici. Infatti, sarebbe del tutto irragionevole immaginare che, in casi come quello in esame, il conducente, al momento di impegnare un incrocio in attesa del passaggio delle vetture con precedenza e con l’obbligo di sgomberare l’area il prima possibile, possa tranquillamente utilizzare un apparecchio radiomobile proprio nel momento di maggior pericolo, per il solo fatto che il veicolo si è momentaneamente arrestato”. 

La “ratio” del divieto di cui all’art. 173 comma 2, cod. strada (d. Igs. n. 285 del 1992), infatti, aggiunge e conclude la Cassazione, “risiede nell’impedire comportamenti che siano in grado di provocare una situazione di pericolosità nella circolazione stradale, inducendo il guidatore a distrarsi e a non consentire di avere con certezza il completo controllo del veicolo in movimento”.

Dunque, ricorso respinto e sanzione confermata.

Legittima la multa effettuata da un agente fuori servizio

9 Ottobre 2020/0 Commenti/in Codice della Strada /da admin_rf

E’ legittima una multa comminata attraverso un verbale notificato due giorni dopo rispetto ad una contestazione “orale” per un’infrazione del codice della strada, ed effettuata da un agente fuori servizio?

Per la Cassazione sì. Con l’ordinanza 20529/20 depositata il 29 settembre 2020 la Suprema Corte ha definitivamente respinto il ricorso di un’automobilista veneziana, che aveva impugnato due verbali “irrituali” avanti il giudice di pace di Mestre.

 

Un agente fuori servizio “multa” un’automobilista

La vicenda. Nell’aprile del 2010 un agente di Polizia di Frontiera, libero dal servizio ma in divisa, a bordo di un’auto civile, aveva affiancato la macchina condotta dalla donna, contestandole a voce svariate violazioni al codice della strada, in particolare più sorpassi in corrispondenza di curve o di dossi su tratti di strada segnalati da doppia striscia longitudinale continua. Probabilmente l’automobilista pensava si trattasse di una ramanzina, e invece a distanza di due giorni dall’accertamento delle infrazioni, si è vista notificare due verbali.

Giudice di Pace e tribunale respingono l’opposizione al verbale

Il giudice di Pace, tuttavia, aveva rigettato l’opposizione presentata dalla donna, sentenza confermata anche in appello dal Tribunale di Venezia: secondo i giudici, gli agenti di polizia, abilitati al servizio di polizia stradale, operano su tutto il territorio nazionale e debbono ritenersi sempre in servizio.

Nello specifico, il poliziotto, nel momento in cui aveva affiancato la vettura, era in divisa e aveva intimato “l’alt” con segnale manuale, e la mancata redazione immediata del verbale di contestazione doveva ritenersi giustificata, essendo plausibile che l’agente accertatore, in viaggio per raggiungere il proprio posto di lavoro, non disponesse dei moduli per redigere il verbale.

La fede privilegiata dei fatti attestati dal pubblico ufficiale

Il tribunale, condividendo la valutazione del giudice di pace, aveva chiarito che, al fine di contestare i fatti descritti nel verbale, sarebbe occorsa una querela di falso, trattandosi di fatti che il pubblico ufficiale attestava essere avvenuti in sua presenza e, quindi, muniti di fede privilegiata. I giudici avevano poi aggiunto che l’errore incorso nel verbale quanto alla descrizione della segnaletica sui tratti di strada dove sarebbero avvenuti i sorpassi, segnalati da una sola striscia continua invece che una doppia striscia, non incideva comunque sulla sussistenza dell’illecito, essendo il sorpasso vietato anche se la striscia continua non è doppia, soprattutto in prossimità di dossi.

E analoga considerazione veniva proposta in ordine all’indicazione di un identico orario per tutte violazioni, rilevando che tale incongruenza, in presenza di violazioni realizzate nello spazio di pochi chilometri, non incideva sulla coerenza dell’accertamento e della verbalizzazione nel suo complesso.

Il ricorso per Cassazione, che lo respinge

L’automobilista, tuttavia, per nulla convinta è voluta andare fino in fondo presentando ricorso anche per Cassazione, ed eccependo in primis sull’applicazione dell’art. 24 del Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada: la norma, nel consentire agli agenti di polizia stradale in uniforme di intimare l’Alt manuale, secondo le tesi della ricorrente doveva riferirsi a casi nei quali la divisa e il distintivo fossero chiaramente percepibili dal soggetto destinatario dell’ordine, mentre la dinamica dei fatti avrebbe smentito tale possibilità di percezione.

Ma il motivo è infondato secondo la Suprema Corte, che condivide la  ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, laddove questi aveva riconosciuto che ricorrevano nella specie i presupposti che consentivano all’agente di intimare l’alt manuale in base alla norma del regolamento. E comunque sia, fa notare la Cassazione, si trattava di una questione irrilevante: all’automobilista non era stata contestata la violazione dell’art 192 del Nuovo codice della strada, avendo essa ottemperato all’intimazione dell’Alt impartita dall’agente.

Per la ricorrente la contestazione doveva essere immediata

La doglianza principale della ricorrente riguardava la presunta violazione dell’art. 200 del Nuovo codice della strada: la contestazione, a suo dire, avrebbe dovuto essere fatta immediatamente, e la motivazione addotta dal tribunale per giustificare la contestazione differita (la indisponibilità dei moduli per redigere il verbale) sarebbe stata del tutto inidonea.

La Cassazione ricorda che la contestazione può anche non essere contestuale

Ma anche questo motivo è infondato per gli Ermellini, che spiegano: “L’operazione di accertamento delle violazione al C.d.S. si sviluppa nei tre momenti della contestazione, della verbalizzazione e della consegna della copia del verbale”. La contestazione, ammettono i giudici, deve essere immediata, con la conseguenza che ogni qualvolta tale contestazione sia possibile, essa non può essere omessa, a pena d’illegittimità dei successivi atti del medesimo procedimento.

“Tuttavia – puntualizzano – l’art. 201 C.d.S. contempla l‘eventualità che l’immediata contestazione dell’infrazione non risulti in concreto possibile e stabilisce che, in tale ipotesi, il verbale debba essere notificato al trasgressore con l’indicazione della circostanza impeditiva”.

La verbalizzazione segue la già avvenuta contestazione

La “verbalizzazione”, proseguono gli Ermellini, è operazione distinta e successiva, rispetto alla già “avvenuta” contestazione: “a norma del terzo comma dell’art. 200 C.d.S., copia del verbale deve essere consegnata al trasgressore, e la contestazione deve ritenersi immediatamente avvenuta, anche se la consegna del verbale (per validi motivi) non segua nello stesso contesto di tempo, allorquando il contravventore sia stato fermato ed il pubblico ufficiale gli abbia indicato la violazione commessa e lo abbia posto in grado di formulare le proprie osservazioni”.

L’ultima ipotesi è appunto quella riscontrabile nel caso in esame, “in considerazione della dinamica dei fatti e del contenuto dei verbali oggetto di opposizione”, nei quali, sottolinea la sentenza, è contenuta infine la seguente menzione: “Violazione contestata successivamente oralmente al trasgressore, in quanto libero dal servizio e con veicolo privato”.  L’avverbio “successivamente”, precisa ulteriormente la Suprema Corte, non allude a una contestazione differita fatta con la postuma verbalizzazione, ma all’accertamento delle violazioni, già contestate oralmente.

I rilievi operati dal tribunale a questo proposito, e cioè che era plausibile che l’agente, in viaggio per raggiungere il posto di lavoro, non disponesse dei moduli per redigere il verbale, in realtà non sono perciò da riferire alla carenza della contestazione immediata, proseguono nei loro chiarimenti i giudici del Palazzazzio, “ma al differimento della verbalizzazione di una contestazione già avvenuta, in conformità alla menzione fatta nei due verbali. D’altra parte, non risulta che la (omissis) nei motivi di opposizione abbia specificato quale delle garanzie previste dalla legge per la difesa delle ragioni del trasgressore sarebbero state sacrificate o compresse in virtù della contestazione verbale delle infrazioni.

Nello stesso tempo nessuna violazione o limitazione al diritto di difesa è derivata dalla mancata immediata redazione del verbale della già avvenuta contestazione, verbale che è stato poi notificato all’interessata con l’espressa precisazione che la contestazione era avvenuta oralmente”. Peraltro, la Suprema Corte, controbattendo alla ricorrente, ritiene del tutto logica e plausibile la motivazione addotta dal tribunale per giustificare la momentanea indisponibilità dei moduli.

Infine, l’automobilista ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., sostenendo che non poteva riconoscersi fede privilegiata alla descrizione dei fatti operata dall’agente con i due verbali, trattandosi di circostanze oggetto di percezione sensoriale, suscettibili di errori di fatto, e rilevando appunto gli errori incorsi nei verbali quanto alla descrizione della segnaletica e l’incongruenza derivante dalla indicazione, negli stessi verbali, di un orario unico per le tre violazioni.

Gli atti del pubblico ufficiale fanno fede fino a querela di falso

Ma anche qui la Cassazione le dà torto, concludendo che “nel procedimento di opposizione ad ordinanza ingiunzione relativa al pagamento di una sanzione amministrativa, sono riservati al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell’operato del pubblico ufficiale, la proposizione e l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale della realtà degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti, pur quando si deducano errori od omissioni di natura percettiva da parte dello stesso pubblico ufficiale.

Sono ammesse la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto, inerenti alla violazione, che non siano attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva”.

Circostanza che non si potrebbe nello specifico, in quanto anche per la Cassazione gli errori contenuti nel verbale non incrinavano la sussistenza dell’illecito, “atteso che è vietato il sorpasso anche se la linea bianca non è doppia, specialmente in prossimità di dossi”, e perché, in presenza di violazioni realizzate nello spazio di pochi chilometri, “il dato temporale non è tale da incidere sulla coerenza dell’accertamento e delle verbalizzazione nel suo complesso”.

Ergo, ricorso definitivamente respinto.

 

 

In arrivo una “mini-riforma” del Codice della Strada

8 Settembre 2020/0 Commenti/in Codice della Strada /da Emanuele Musollini

Qualcuno ha già parlato di “mini-riforma” del Codice della Strada per sottolineare la portata del disegno di legge n. 1883 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 luglio 2020, n.76, recante misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale” approvato dal Senato il 4 settembre 2020.

Nella “conversione” del d.l. proposto dal Governo, e che ora dovrà passare alla Camera per il definitivo via libera, sono state infatti introdotte numerose modifiche al Cds, con nuovi articoli e commi, con diverse novità su questioni molto sentite come il controllo della velocità nei centri urbani o la mobilità ciclabile, e con norme che vanno a risolvere delicate questioni applicative di precedenti provvedimenti normativi, anche con ripercussioni internazionali, in modo particolare per i lavoratori frontalieri alla guida di veicoli con targa straniera come quella Svizzera, condotti da residenti in Italia da più di un anno, che venivano “sequestrati” per la riforma del pacchetto sicurezza 2018.

 

Autovelox fissi anche nelle strade urbane

Ma le novità riguardano anche la circolazione degli scooter a tre ruote che potranno tornare a circolare in autostrada e nuove competenze per gli accertatori ed ausiliari della sosta, che avranno maggiori poteri di sanzionamento sui divieti. Molte delle proposte sono partite dai Comuni italiani, impegnati ad affrontare la nuova mobilità al tempo della pandemia, anche rispetto ad una “mobilità dolce”, e hanno portato a dei provvedimenti storici a tutela dei ciclisti e dei pedoni.

E, ancora, la nuova legge prevede una svolta nei controlli sulla velocità nei centri urbani, con autovelox fissi anche sulle strade urbane di quartiere e locali, oggi vietati. Sarà il Prefetto ad autorizzare le nuove postazioni, attraverso un’analisi degli incidenti avvenuti e sulle loro cause, anche per tutelare i pedoni e gli utenti vulnerabili.

Tante novità per i ciclisti

Il nutrito pacchetto a tutela dei ciclisti prevede l’introduzione della “strada urbana ciclabile” ad unica carreggiata, con banchine pavimentate e marciapiedi, limite di velocità non superiore a 30 km/h, definita da apposita segnaletica verticale ed orizzontale, con priorità per le biciclette.

E, ancora, ecco la novità del “doppio senso ciclabile”: su strade cittadine ove il limite massimo di velocità sia inferiore o uguale a 30 km/h, ovvero su parte di una zona a traffico limitato, le biciclette potranno circolare anche in senso opposto all’unico senso di tutti gli altri veicoli, lungo la corsia ciclabile per doppio senso ciclabile presente sulla strada stessa. La facoltà può essere prevista indipendentemente dalla larghezza della carreggiata, dalla presenza e dalla posizione di aree per la sosta veicolare e dalla massa dei veicoli autorizzati al transito. Nascono, poi, le “corsie bici-bus” purché non siano presenti binari tramviari a raso ed a condizione che, salvo situazioni puntuali, il modulo delle strade non sia inferiore a 4,30 m.

I conducenti degli altri veicoli avranno l’obbligo di dare la precedenza ai velocipedi che transitano sulle strade urbane ciclabili o vi si immettono, anche da luogo non soggetto a pubblico passaggio. Inoltre, lungo le strade urbane i conducenti degli altri veicoli avranno l’obbligo di dare la precedenza ai velocipedi che circolano sulle corsie ciclabili.

Massima tutela per le zone limitrofe alle scuole

Vengono istituite le “zone scolastiche” nelle città, in prossimità della quale si trovano edifici adibiti ad uso scolastico, in cui è garantita una particolare protezione dei pedoni e dell’ambiente, delimitata lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e di fine. Qui verrà limitata o esclusa la circolazione, la sosta o la fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli, in orari e con modalità definiti con ordinanza del sindaco. I divieti di circolazione, di sosta o di fermata non si applicheranno ovviamente agli scuolabus, agli autobus destinati al trasporto degli alunni frequentanti istituti scolastici, nonché ai titolari di contrassegno per disabili.

Pesanti le multe per chi viola i divieti nella “zona scolastica” con sanzione amministrativa da 164 a 664 euro e, in caso di reiterazione nel biennio, sospensione della patente da 15 a 30 giorni.

Pugno di ferro contro la sosta selvaggia

Linea dura, poi, verso la sosta selvaggia davanti ai cassonetti dei rifiuti o che impedisca la pulizia stradale. Dipendenti comunali e delle municipalizzate individuati dal sindaco potranno sanzionare anche con la rimozione dei veicoli.

Per la sosta e fermata abusiva sulle corsie preferenziali, vengono introdotti (pure qui) nuovi poteri anche al personale ispettivo delle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone, con le funzioni di prevenzione e accertamento in materia di circolazione, fermata e sosta sulle corsie e strade ove transitano i veicoli adibiti al servizio di linea.

Novità anche per i tempi delle revisioni a causa dell’emergenza da Covid-19. I veicoli la cui revisione scadeva entro lo scorso 31 luglio avranno tempo fino al 31 ottobre, mentre viene autorizzata la circolazione fino al 31 dicembre 2020 dei veicoli da sottoporre ai medesimi controlli entro il 30 settembre 2020, nonché la circolazione fino al 28 febbraio 2021 dei veicoli da sottoporre agli stessi controlli entro il 31 dicembre 2020.

Nelle zone a traffico limitato, infine, le telecamere potranno sanzionare i divieti di circolazione, in ingresso, all’interno ed in uscita nonché il controllo della durata di permanenza all’interno delle ZTL.

Insomma, una vera e propria mini-riforma, anche se mancano ancora all’appello alcuni provvedimenti attesi come la sospensione della patente alla prima violazione per chi utilizza il cellulare alla guida. “Le nuove norme ora andranno all’esame della Camera ma appiano già blindate ed entro poche settimane saranno legge.

 

Omicidio stradale: usare il cellulare equivarrà ad essere ubriaco

21 Luglio 2020/0 Commenti/in Codice della Strada /da Emanuele Musollini

Anche se, dopo il vertice della maggioranza di Governo tenutosi il 20 luglio 2020, è sfumata la possibilità di avviarne subito l’iter, resta più che mai sul tappeto il disegno di legge sostenuto con forza dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per riformare il Codice della Strada con particolare riferimento al trattamento sanzionatorio, soprattutto sul versante penale e relativamente al reato di omicidio stradale, introdotto quattro anni fa.

Un autentico giro di vite, quello in esame, per chi guida mentre utilizza il cellulare, violazione sempre più frequente e una delle principali cause delle tragedie della strada, e le cui pene saranno praticamente equiparate a quelle previste per la guida in stato di ebbrezza, che pure verrebbero incrementate. In caso di omissione di soccorso, poi, scatterebbe l’arresto obbligatorio – la misura non sarebbe più facoltativa – e in caso di omicidio stradale plurimo le pene detentive potranno arrivare a 24 anni.

Il quadro di riferimento: nel 2019, 1505 morti in sei mesi

I dati di cui ha dovuto prendere atto il Guardasigilli sono preoccupanti: dall’ultima rilevazione Istat, nel primo semestre del 2019, a fronte di una riduzione sia delle lesioni alle persone che dei feriti rispetto all’anno precedente (rispettivamente di -1,3% e -2,9%), il numero delle vittime invece è aumentato dell’1,3% superando le 1500 unità. Un incremento frutto, in particolare, dell’aumento registrato sulle autostrade (oltre il 25%) e sulle strade extraurbane (+0,3%).

L’Anas, in un’indagine condotta insieme all’istituto Piepoli ha rilevato che la causa principale degli incidenti stradali è la distrazione dovuta all’uso eccessivo dello smartphone, che distoglie l’attenzione dalla guida. Il fenomeno, purtroppo, non riguarda solamente gli automobilisti, ma addirittura motociclisti e ciclisti. Alla distrazione, si associano poi altre con-cause soggettive come l’ eccessiva stanchezza, mancanza di sonno, stile di vita non regolare, alterazione dei ritmi sonno-veglia. Infine l’uso delle sostanze stupefacenti e dell’alcol determina una forte alterazione delle capacità della guida aumentando il rischio di incidenti stradali e di conseguenza lesioni personali gravi, gravissime o addirittura la morte.

Omicidio stradale: l’attuale legislazione

La legge 23 marzo 2016 n. 41 entrata in vigore dal 25 marzo 2016, inserisce nel codice penale il delitto di omicidio stradale all’articolo 589-bis.

L‘omicidio stradale è un autonomo reato colposo, che ha una trattazione specifica rispetto all’omicidio colposo disciplinato dall’art. 589 c.p. L’ipotesi di omicidio colposo “stradale” è dunque un reato in più ed è stato introdotto a tutela del bene vita e della incolumità individuale, la cui protezione risponde all’interesse sia del singolo che dell’intera comunità. Questo in ragione del gran numero di incidenti mortali che si verificano nel nostro Paese, causati soprattutto dalla disattenzione e dalla guida sotto effetto di sostanze alcoliche e stupefacenti.

Il nuovo articolo 589-bis

“Chiunque causi, per colpa, la morte di un’altra persona violando il Codice della Strada, è punito con una reclusione da 2 a 7 anni. Questi possono aumentare a rispettivamente 8 e 12 nel caso in cui, chi provoca l’incidente, sia sotto effetto di alcool e/o sostanze stupefacenti con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro.

Nel caso di stato di ebbrezza più lieve (tasso alcolemico oltre 0,8 grammi per litro) si prevede la reclusione da 5 a 10 anni. La stessa pena è assegnata a chi abbia causato l’incidente dopo condotte pericolose (eccesso di velocità,  inversioni a rischio, guida contromano, ecc.).

La pena massima è stabilita in 18 anni di reclusione se l’omicidio stradale è plurimo oppure cagiona la morte di una persona e le lesioni di un’altra”.

 Quanto scatta l’arresto

La legge stabilisce anche che per l’omicidio stradale è sempre consentito l’arresto in flagranza di reato (anche nel caso in cui il soggetto, conducente del veicolo a motore, responsabile dell’incidente si sia fermato ed abbia prestato soccorso), mentre  in presenza delle aggravanti (stato di ebbrezza con valori alcolemici superiori a 1,5 grammi per litro) l’arresto per flagranza di reato diventa obbligatorio. Se il conducente del veicolo, dopo l’incidente, si dà alla fuga, scatta l’aumento di pena (da un terzo fino a due terzi) e in ogni caso non potrà mai essere inferiore a 5 anni.

Altre aggravanti

Per i conducenti di mezzi pesanti o di chi ha la responsabilità nel trasporto di altre persone (come l’autista di autobus) si applicano le condizioni aggravanti anche nei casi di ebbrezza lieve. Per loro scatteranno quindi pene detentive fino a 12 anni, e l’arresto immediato.  Se il conducente rifiuta di sottoporsi agli accertamenti circa lo stato d’ebbrezza o di alterazione connessa all’uso di droghe la polizia giudiziaria può chiedere l’autorizzazione al pubblico ministero (anche oralmente) al fine di effettuare un prelievo coattivo ove il ritardo possa pregiudicare le indagini.

Oltre all’ipotesi in cui il conducente guidi un mezzo di trasporto pubblico e altri mezzi pesanti, l’articolo 589-bis prevede altre circostanze aggravanti: quando il guidatore è sprovvisto di patente di guida, ad esempio perché scaduta, revocata o sospesa oppure quando il veicolo è sprovvisto di assicurazione obbligatoria; in caso di fuga del conducente – qui, come detto, la pena è aumentata da un terzo fino a 2 terzi e, in ogni caso, non può essere inferiore a 5 anni; omicidio stradale plurimo, cioè quando il conducente ha causato la morte di più persone oppure la morte di una e la lesione di altre. In questo caso la sanzione è la reclusione fino ad un massimo di 18 anni.

La revoca della patente

La revoca della patente in caso di omicidio stradale non è automatico. Essa si realizza solamente in caso di omicidio stradale aggravato, quindi per guida in stato di ebbrezza per eccesso di alcool (se il risultato del test è pari o superiore a 1,5 g/l) o per l’utilizzo di droghe. La revoca della patente dura tre anni. Solamente alla fine di questo lasso di tempo, l’ex guidatore potrà fare ex novo gli esami scritti e la prova pratica per riottenere la licenza di guida.

A seguito di condanna o patteggiamento la patente è revocata e può essere conseguita nuovamente dopo 15 anni, oppure dopo 30 anni nei casi più gravi in cui il conducente sia fuggito.

Le pene in caso di lesioni stradali gravi

Pene un po’ più leggere in caso di lesioni stradali gravissime. In caso di lesioni generali, la reclusione va da 3 mesi a un anno per le lesioni gravi e da uno a tre anni per le lesioni gravissime. Nelle ipotesi più gravi la reclusione va da 3 a 5 anni per le lesioni gravi e da 4 a 7 anni per le lesioni gravissime.

Laddove l’articolo 589 bis stabilisce la pena della reclusione da 5 a 10 anni per l’omicidio, l’articolo 590-bis stabilisce la reclusione da 1 anno e 6 mesi a tre anni per le lesioni gravi e da due a quattro anni per le lesioni gravissime.

 Cosa cambierebbe con il nuovo Ddl

Il disegno di legge che il ministro Bonafede vorrebbe si approvasse velocemente aumenterebbe le condotte di particolare pericolosità punendo, per esempio, chi provoca involontariamente la morte di una persona oltrepassando una striscia longitudinale.

 Le pene sarebbero poi inasprite principalmente per chi non presta assistenza o non si mette subito a disposizione della polizia giudiziaria: aumento di un terzo della pena se il conducente è in stato di ebbrezza alcolica (pene che passano da 8 a 11 anni o da 12 a 16 anni, ed in caso di lieve ebbrezza da 5 a 7 anni e da 10 a 13 anni), così come in caso di uccisione di più persone: arresto obbligatorio, e non più facoltativo, in caso di omissione di soccorso.

Altro aspetto che prevedrebbe il nuovo Ddl sarebbe l’indebolimento del concorso di colpa, attraverso l’abrogazione dell’articolo che prevede una circostanza attenuante nel caso in cui la morte di un soggetto è dovuta non esclusivamente all’azione o all’omissione del colpevole.

L’uso del cellulare diventa un aggravante

Ma la novità forse più rilevante è che nel reato di omicidio stradale diventa un aggravante anche l’uso del cellulare alla guida, ovvero l’utilizzo di apparecchi radiotelefonici o cuffie sonore. Dunque, guidare al telefono, in caso di omicidio stradale, sarà considerato un’aggravante così come lo è la guida in stato di ebbrezza.

Le pene applicate saranno quelle derivanti appunto dalla guida in stato di ebbrezza (anche lieve). La guida con il cellulare all’orecchio, distraendo pertanto una delle due mani dal volante, da cui possa scaturire un incidente stradale che possa determinare una omicidio, lesioni gravi, o omicidio plurimo, sarà considerata un aggravante e sarà punita con le pene applicate allo stato di ebbrezza ma in modo inasprito.

Pene più severe anche per l’omissione di soccorso

Stretta soprattutto per chi omette di prestare assistenza o non si mette immediatamente a disposizione della polizia giudiziaria: al momento è previsto un aumento di pena di un terzo, che diventerebbe di due terzi, e della metà e non più di un terzo se il conducente è in stato di ebbrezza alcolica. Si prevede inoltre che, in caso di uccisione di più persone, la pena debba essere aumentata almeno di un terzo (passando quindi da 18 anni 24 anni).

Per omissione di soccorso è previsto l’arresto obbligatorio, non più facoltativo. Si introduce, infine, l’arresto obbligatorio, e non più solo facoltativo, del conducente che, in caso di omicidio stradale e lesioni stradali aggravate ometta di collaborare, dandosi alla fuga o non prestando la necessaria assistenza alle persone ferite o non mettendosi a disposizione della polizia giudiziaria.

Omologazione e revisione dell’autovelox: l’onere della prova

23 Giugno 2020/0 Commenti/in Codice della Strada /da Emanuele Musollini

Non basta la dichiarazione degli agenti verbalizzanti che l’autovelox è omologato e revisionato, e l’onere della prova è a carico della Pubblica Amministrazione. Premesso che sulla strada bisogna rispettare le regole del codice e, soprattutto, i limiti, vanno tuttavia registrate due recenti sentenze della Cassazione che fanno chiarezza sugli apparecchi elettronici per la rilevazione automatica della velocità: i “famigerati” autovelox.

Opposizione al verbale di una multa per eccesso di velocità

Nel primo caso, con l’ordinanza n. 11776/20 depositata il 18 giugno 2020, la Suprema Corte ha giudicato sulla vicenda di un automobilista romano che aveva proposto opposizione contro il verbale di contestazione di una contravvenzione elevata  nel 2011, ai sensi dell’art. 142 comma 8 C.d.S., per violazione dei limiti di velocità.

Il Giudice di pace di Roma aveva rigettato l’opposizione e modificato autonomamente la sanzione aggravandola. L’automobilista ha quindi impugnato la sentenza in appello denunciando vari vizi anche procedurali in cui sarebbe incorso il Giudice, ma il Tribunale capitolino, quale giudice d’appello, aveva rigettato il gravame in punto di legittimità e fondatezza della contestazione, riducendo solo la sanzione alla misura originaria e accogliendo l’appello nella parte relativa alle spese di lite.

L’automobilista ha quindi proposto ricorso anche per Cassazione, adducendo quattro motivi di doglianza. Qui preme in particolare il primo, nel quale il ricorrente censurava la decisione di appello in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione della legge n. 273 del 1991, del d.m. n. 1123 del 2005, art. 4, nonché delle norme Internazionali UNI 30012, UNI 10012, delle raccomandazioni OIML D19 e D20 – le quali prevedono la taratura periodica per le apparecchiature di rilevazione della velocità e l’indicazione nel verbale delle medesime -, e degli art. 115,116 cod. proc. civ. e art. 2697, comma 2, cod. civ., per avere il giudice d’appello riconosciuto rilevanza probatoria alla generica attestazione “debitamente omologata e revisionata” apposta dai verbalizzanti in relazione all’obbligo circa la taratura ed omologazione dell’apparecchio elettronico di rilevazione.

Secondo il ricorrente, questa attestazione, priva di qualsiasi indicazione in merito all’omologazione ed alla data della prescritta verifica periodica dell’apparecchiatura, come disposto dall’art. 45, comma 8, del C.d.S., non sarebbe stata sufficiente ai fini dell’affidamento sul regolare funzionamento della strumentazione utilizzata e non porrebbe, come erroneamente sostenuto nel provvedimento impugnato, l’onere in capo all’opponente di fornire la prova dell’asserito malfunzionamento.

Gli autovelox vanno sottoposti a periodiche verifiche di funzionalità e taratura

E la Cassazione gli ha dato ragione. La dicitura che l’apparecchiatura era ” debitamente omologata e revisionata” anche secondo la Suprema Corte, “non soddisfa le esigenze di affidabilità dell’omologazione e della taratura che sono state individuate dalla Corte costituzionale nella sentenza additiva n. 113/2015 alla base della declaratoria di incostituzionalità dell’articolo 45 comma 6 C.d.S., nella parte in cui non prevede che “tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e taratura”.

Gli Ermellini chiariscono, infatti, che, successivamente alla tale declaratoria di incostituzionalità, “tutte le apparecchiature di misurazione della velocità devono essere sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e taratura, e che in caso di contestazioni circa l’affidabilità dell’apparecchio il giudice è tenuto ad accertare se tali verifiche siano state o meno effettuate”.

Pertanto, nel caso di specie occorrerà applicare questo principio con conseguente necessità che il giudice proceda a verificare la sussistenza o meno di dette verifiche, “non potendo ritenersi sufficiente l’annotazione apposta dai verbalizzanti che sul punto non è coperta da fede privilegiata” conclude la Cassazione, che ha pertanto accolto il motivo del ricorso e cassato la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato, che dovrà conformarsi a questo principio di diritto.

Con l’ordinanza n. 11869/20 depositata sempre il 18 giugno 2020, quindi, i giudici del Palazzaccio hanno affrontato il caso di una società avellinese che a sua volta aveva proposto opposizione nei confronti del verbale con cui le veniva contestata la solita contravvenzione all’articolo 142 c.d.s. per superamento dei limiti di velocità ed irrogata la relativa sanzione amministrativa.

Qui in primo grado il giudice di pace di Avellino aveva però accolto il ricorso, annullando il verbale, ma la società ha impugnato la sentenza relativamente alla statuizione delle spese, e altrettanto aveva fatto la Prefettura, con appello incidentale, chiedendo la riforma della decisione impugnata e la conferma del verbale di contravvenzione. E il tribunale, quale giudice del gravame, aveva accolto l’appello incidentale ritenendo insussistente un onere probatorio a carico dell’amministrazione relativo alla perdurante funzionalità delle apparecchiature utilizzate per il rilevamento della velocità, come invece aveva inteso il giudice di prime cure.

La società ha quindi proposto ricorso per Cassazione sulla base di un unico motivo, deducendo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., l’errore in cui sarebbe incorso il Tribunale nel ritenere che l’onere della prova del cattivo funzionamento oppure della mancata omologazione e/o taratura dell’apparecchiatura di rilevamento della velocità gravasse sul ricorrente che contesta la contravvenzione e non sull’Amministrazione.

L’onere di provare omologazione, taratura e verifiche periodiche grava sulla PA

E anche qui per la Cassazione il motivo è fondato. La Suprema Corte richiama anche in questo caso la declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Corte costituzionale dell’art. 45, comma 6, del c.d.s., nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e taratura.

E ribadisce che, a seguito di tale pronuncia di incostituzionalità, la Cassazione ha statuito che “l’onere di provare che l’apparecchiatura atta all’accertamento ed al rilevamento automatico delle violazioni alle norme di circolazione è stata preventivamente sottoposta alla prescritta ed aggiornata omologazione ed alla indispensabile verifica periodica di funzionamento, grava, nel giudizio di opposizione, sulla Pubblica Amministrazione, poiché concerne il fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria: tale onere va inteso nel senso che l’efficacia probatoria dello strumento rilevatore del superamento dei limiti di velocità che sia omologato e sottoposto a verifiche periodiche, opera fino a quando sia accertato, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall’opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionamento del dispositivo elettronico”.

Nel caso concreto il tribunale aveva invece ritenuto sufficiente la produzione in giudizio della documentazione attestante l’omologazione e la corretta installazione e funzionamento dell’autovelox, sul presupposto che non fosse onere dell’Amministrazione provare il perdurante funzionamento dell’apparecchiatura: “tale statuizione – concludono i giudici del Palazzaccio – è erronea alla luce dei principi sono richiamati, in forza dei quali avrebbe dovuto essere provata dall’Amministrazione, oltre all’omologazione ed alla installazione, anche l’effettuazione delle periodiche verifiche volte ad assicurare la persistente funzionalità dello strumento rilevatore”.

Anche in questo caso, dunque, la sentenza è stata cassata con rinvio al Tribunale di Avellino, in persona di diverso magistrato, che dovrà riesaminare l’opposizione al verbale alla luce di questi principi.

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