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vendita auto usate

Risarcimento danni per il difetto di conformità dell’auto

3 Luglio 2020/0 Commenti/in News /da Emanuele Musollini

Se si acquista un’auto ed emergono dei difetti di una certa entità che comportino costose riparazioni e disagi, si può essere risarciti? E cosa bisogna fare?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13148/20 depositata il 30 giugno 2020, dà una risposta chiara a questo quesito che si pone in modo per nulla infrequente, e lo fa stabilendo due importanti principi a tutela del consumatore: in materia di contratti di vendita di beni di consumo in generale, si presume che i difetti di conformità che si manifestino entro 6 mesi dalla consegna sussistessero già in origine.

E’ dunque questo il lasso temporale entro il quale l’acquirente deve agire. In secondo luogo, chi ha acquistato la vettura ha solo l’onere di allegare la sussistenza del vizio: sarà la controparte, cioè il rivenditore, a dover provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto.

 

Indice

  • Auto presenta vizi di conformità
  • Gli acquirenti ricorrono per Cassazione
  • Il Codice del Consumo
  • Rimedi per il consumatore in caso di vizi di conformità
  • L’inversione dell’onere della prova a favore dell’acquirente
  • La direttiva europea n. 1999/44/CE
  • Gli errori della Corte d’appello

Auto presenta vizi di conformità

La vicenda. Due coniugi avevano citato in giudizio davanti al tribunale di Larino, Sezione Distaccata di Termoli, un autosalone lamentando di aver acquistato una vettura usata che, subito dopo l’acquisto, aveva palesato gravi vizi occulti, regolarmente denunciati e non riparati: di qui la richiesta di essere risarciti dei danni conseguenti, consistenti nel rimborso delle spese sostenute per noleggiare un’auto sostitutiva, (1.810 euro), nelle somme pagate per il ripristino del mezzo (altri 1.770 euro), più i disagi patiti.

La rivendita si era costituita in giudizio contestando le accuse e sostenendo che veicolo era perfettamente funzionante al momento della consegna e che il vizio in realtà era stato causato da un uso anomalo del mezzo, che avrebbe percorso un numero di chilometri superiore alla norma, e dalla carente manutenzione.

Il tribunale aveva dato ragione all’impresa rigettando la domanda, sentenza confermata, nel 2017, dalla Corte d’Appello di Campobasso a cui gli acquirenti si erano rivolti appellando la decisione di primo grado. La corte di merito aveva concluso che i due coniugi, che avevano acquistato l’auto il 7 marzo 2006, non avevano provato che i vizi si fossero manifestati pochi giorni dopo la consegna ma solo nel giugno 2006, ovvero dopo tre mesi.

I giudici avevano poi fatto notare che il mezzo in questione era stata venduto quando aveva già percorso 140mila chilometri e che la ricorrente stessa avrebbe ammesso di averne fatto un uso anomalo, avendo percorso il tratto Larino-Termoli due volte al giorno: dalle fatture della ditta noleggiatrice del veicolo sostitutivo era emerso che, dall’1 al 14 settembre 2006, quest’ultima auto aveva percorso oltre 54mila km, di qui deducendo un uso eccezionale (anche) della vettura acquistata e oggetto di causa.

Infine, la Corte d’Appello aveva sottolineato nella sentenza come fosse emerso dalla valutazione delle deposizioni testimoniali che l’auto, prima della vendita, era stata accuratamente controllata ed era risultata perfettamente funzionante, tanto che non aveva presentato problemi fino, come detto, al mese di giugno 2006. Insomma, le sostituzioni di pezzi resesi necessarie erano state determinate dall’eccessivo chilometraggio percorso in assenza di ordinaria manutenzione.

Gli acquirenti ricorrono per Cassazione

Contro questa decisione i due acquirenti hanno quindi proposto ricorso per Cassazione lamentando innanzitutto la violazione e falsa applicazione di svariati articoli (128, 129, 130 , 132 e 135) del Codice del Consumo, avendo la corte di merito applicato al caso di specie la normativa relativa al contratto di vendita e non, appunto, il Codice del Consumo, con particolare riferimento all’art.130 di quest’ultimo, che prevede la responsabilità del venditore in caso di difetto di conformità, ritenendo erroneamente che la macchina avesse subito un utilizzo anomalo. Tale conclusione infatti, secondo i ricorrenti, era stata tratta per errore dalle fatture relative all’autonoleggio dell’auto sostitutiva, da cui era risultato che in due settimane il mezzo avrebbe percorso altri 54.818,00 Km, mentre tale dato si riferiva, in realtà, ai chilometri complessivamente percorsi dall’auto noleggiata.

Inoltre, i due coniugi hanno denunciato la violazione dell’art.132 del Codice del Consumo, il quale prevede una presunzione del difetto di conformità del bene, qualora i vizi si manifestino entro sei mesi dalla consegna: nello specifico, essi si erano presentati tre mesi dopo la consegna, con conseguente inversione dell’onere della prova, in capo alla concessionaria, della loro insussistenza al momento della vendita.

Ebbene, il motivo di doglianza è fondato per la Cassazione, che con l’occasione chiarisce tutta una serie di espetti sulla normativa in materia. In primis, l’art. 135, comma 2, del codice del consumo stabilisce che, in tema di contratto di vendita, le disposizioni del codice civile si applicano “per quanto non previsto dal presente titolo”; l’art. 1469 bis c. c., introdotto dall’art. 142 del codice del consumo, stabilisce che le disposizioni del codice civile contenute nel titolo “Dei contratti in generale” “si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore”.

Ciò significa, spiega la Suprema Corte, che, “nell’attuale assetto normativo della disciplina della compravendita, vi è una chiara preferenza del legislatore per la normativa del codice del consumo relativa alla vendita ed un conseguente ruolo “sussidiario” assegnato alla disciplina codicistica (relativa tanto al contratto in generale che alla compravendita)”: nel senso che si applica innanzitutto la disciplina del codice del consumo (art. 128 e segg.), mentre quella del codice civile si può applicare solo per quanto non previsto dalla normativa speciale.

Il Codice del Consumo

Ma quando sussistono i presupposti per l’applicazione del codice del consumo? La Cassazione lo chiarisce. “L’art. 128 del codice del consumo stabilisce che, ai fini dell’applicazione delle norme contenute nel capo I del titolo III dello stesso codice dal titolo “Della vendita dei beni di consumo”, per “bene di consumo” si intende “qualsiasi bene mobile” e per “venditore” si intende “qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1” (contratti di vendita, permuta, somministrazione, appalto etc.). Qui, “alle disposizioni civilistiche dettate agli artt. 1490 e ss. del codice civile in tema di garanzia per i vizi dei beni oggetto di vendita si aggiungono, in una prospettiva di maggior tutela, gli strumenti predisposti dal codice del consumo”.

Dunque, il riferimento nel caso in questione e simili è il Codice del consumo, dal quale, proseguono gli Ermellini,  si desume una responsabilità del venditore nei riguardi del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene allorché tale difetto si palesi entro il termine di due anni dalla stessa consegna.

Rimedi per il consumatore in caso di vizi di conformità

La Cassazione spiega anche quali sono i vari rimedi, contemplati al citato art.130, al difetto di conformità che è dato al consumatore di esperire, e graduati, per volontà dello stesso legislatore, secondo un preciso ordine: egli potrà in primo luogo proporre al venditore la riparazione ovvero la sostituzione del bene e, solo in secondo luogo, nonché alle condizioni contemplate dal comma 7, potrà richiedere una congrua riduzione del prezzo oppure la risoluzione del contratto. Restando ovviamente fermo che, per poter usufruire di tali diritti, il consumatore ha l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità nel termine di due mesi decorrente dalla data della scoperta di quest’ultimo.

Uno degli aspetti fondamentali è che il Codice del Consumo prevede una presunzione a favore del consumatore, inserita nell’art.132 terzo comma, a norma del quale si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data, salvo che l’ipotesi in questione sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.

L’inversione dell’onere della prova a favore dell’acquirente

“Si tratta – rimarca la Suprema Corte – di presunzione iuris tantum, superabile attraverso una prova contraria, finalizzata ad agevolare la posizione del consumatore”: ne deriva dunque che, ove il difetto si manifesti entro tale termine, il consumatore gode di “un’agevolazione probatoria”, dovendo semplicemente allegare la sussistenza del vizio e gravando conseguentemente sulla controparte l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita.

Superato questo termine dei sei mesi, invece, trova nuovamente applicazione la disciplina generale posta in materia di onere della prova posta dall’art. 2697 del codice civile: ciò implica che in questo caso sarà il consumatore che agisce in giudizio a dover fornire la prova che il difetto fosse presente ab origine nel bene, poiché il vizio ben potrebbe qualificarsi come sopravvenuto e dipendere conseguentemente da cause del tutto indipendenti dalla non conformità del prodotto.

“Corollario di questo principio – tira le fila del discorso la Cassazione – è che il consumatore deve provare l’inesatto adempimento mentre è onere del venditore provare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene. Solo ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore.”

Il quadro normativo, come illustrato, precisano meglio i giudici del Palazzaccio, ha portato la giurisprudenza di legittimità a ritenere “che la responsabilità da prodotto difettoso abbia natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza di un difetto del prodotto. Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato – ai sensi dell’art. 120 del d.lgs. n. 206 del 2005 (cd. codice del consumo), come già previsto dall’8 del d.P.R. n. 224 del 1988 – la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e, una volta fornita tale prova, incombe sul produttore – a norma dell’art. 118 dello stesso codice – la corrispondente prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione, o che all’epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnico- scientifiche”.

La direttiva europea n. 1999/44/CE

Una statuizione del legislatore, questa, dovuta anche al fatto che il venditore, com’è logico, a differenza del consumatore, può avvalersi più facilmente di mezzi organizzativi e delle competenze tecniche che consentono di effettuare la necessaria diagnosi del problema al fine di appurare l’esistenza del vizio. E del resto, va sottolineato anche che l’art. 132 del Codice del Consumo deve essere letto in combinato disposto con la direttiva europea n. 1999/44/CE sulle garanzie dei beni di consumo, di cui il Codice del consumo costituisce la legge di trasposizione in Italia.

Questa direttiva CE indica il nucleo essenziale dei diritti del consumatore e, rimarcando il principio di gratuità, stabilisce che “il venditore è responsabile, a norma dell’articolo 3, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene. Se, a norma della legislazione nazionale, i diritti previsti all’articolo 3, paragrafo 2, sono soggetti a prescrizione, questa non può intervenire prima di due anni dalla data della consegna. Gli Stati membri possono prevedere che grava sul consumatore, per esercitare i suoi diritti, l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui ha constatato siffatto difetto”.

Insomma, la Cassazione ribadisce che grava quindi sul consumatore il solo onere di denunciare il difetto di conformità, “che è da considerarsi assolto nel momento in cui egli comunichi tempestivamente al venditore l’esistenza del difetto di conformità, non occorrendo che venga altresì fornita la prova di tale difetto, né che venga indicata la sua causa precisa. Infatti, risulterebbe troppo oneroso per il consumatore, in fase di presentazione della denuncia di non conformità del prodotto, assolvere l’onere probatorio mediante l’allegazione del vizio specifico da cui è affetto il prodotto, ciò che richiederebbe l’accesso a dati tecnici del prodotto nonché un’assistenza tecnica specializzata, che invece si trovano nella più agevole disponibilità del venditore”.

Gli errori della Corte d’appello

In forza di queste articolate premesse, è chiaro che nel caso in questione la Corte di merito ha erroneamente applicato le norme civilistiche in materia di vendita e non la disciplina relativa ai contratti di consumo, pur risultando dalla sentenza impugnata che l’autovettura era stata alienata da un operatore commerciale, una concessionaria di rivendita di autovetture usate, ad una persona fisica, che l’aveva acquistata per ragioni personali. “Era, quindi applicabile il codice del consumo – ribadisce con forza la Cassazione -, con particolare riferimento al regime probatorio agevolato in favore del consumatore, in quanto i vizi si manifestarono entro i sei mesi dalla consegna”.

La Corte d’appello, pertanto, avrebbe dovuto accertare se il vizio fosse stato denunciato entro due mesi dalla sua scoperta e, trattandosi di vizio che si era manifestato entro sei mesi dalla consegna, applicare la presunzione di responsabilità a carico del venditore, a meno che tale ipotesi fosse incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.

“A tal fine – si osserva ancora nella sentenza – non era sufficiente affermare che l’auto fosse stata controllata prima della vendita e che fosse stato effettuato un tagliando: era invece necessario verificare al momento della denuncia del vizio, la causa che lo aveva generato, facendo ricorso all’assistenza tecnica di cui disponeva la concessionaria. Solo all’esito di tale accertamento, la corte di merito avrebbe potuto fare riferimento all’uso anomalo del mezzo, effettuato sulla base del chilometraggio dell’autovettura oggetto del contratto o facendo ricorso alle presunzioni”.

Il ricorso è stato pertanto accolto e la sentenza impugnata è stata cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Campobasso in diversa composizione per la revisione del caso sulla base dei principi di diritto pronunciati con l’occasione della Cassazione:

“In tema di vendita di beni di consumo, si applica innanzitutto la disciplina del codice del consumo (art. 128 e segg.), potendosi applicare la disciplina del codice civile in materia di compravendita solo per quanto non previsto dalla normativa speciale, attesa la chiara preferenza del legislatore per la normativa speciale ed il conseguente ruolo “sussidiario” assegnato alla disciplina codicistica.

Si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data, sicché è onere del consumatore allegare la sussistenza del vizio, gravando sulla controparte l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita. Superato il suddetto termine, trova nuovamente applicazione la disciplina generale posta in materia di onere della prova posta dall’art. 2697 c. c.”.

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