Quando il contratto con l’autofficina è stipulato da un terzo
I contenziosi tra meccanici e clienti, sul prezzo o sull’efficienza delle riparazioni, non sono certo una novità, ma che succede se a incaricare l’officina di un lavoro è un soggetto terzo rispetto al proprietario del veicolo, il quale poi nega di avergli conferito il potere di rappresentanza e quindi non intende saldare il conto? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15454/20 depositata il 21 luglio 2020, ha affrontato un caso simile.
Il proprietario di un veicolo disconosce il contratto di riparazione stipulato da un terzo
Il Tribunale di Modena, quale giudice di secondo grado, aveva respinto l’appello proposto dal proprietario di un’auto confermando la condanna nei confronti di quest’ultimo di pagare l’importo richiestogli dal titolare di un’autofficina per la riparazione di un mezzo di sua proprietà, che era stato consegnato alla stessa da un terzo.
Il tribunale aveva ritenuto corretta la valutazione operata dal giudice di pace che, in applicazione del principio di non contestazione, aveva valorizzato la circostanza che il proprietario del veicolo, pur negando di avere conferito all’autofficina l’incarico della riparazione dei mezzo, non aveva negato che il terzo presentatore agisse nel suo interesse, da ciò deducendo che quest’ultimo agisse quale mandatario con rappresentanza del proprietario ai fini della conclusione del contratto di riparazione del veicolo ed assunzione in capo al rappresentato dell’obbligazione di pagamento.
Il proprietario del veicolo tuttavia ha proposto ricorso anche per cassazione, che gli ha dato ragione.
Nell’ambito della ripartizione dell’onere probatorio sui fatti costitutivi e su quelli estintivi ed impeditivi della pretesa di pagamento delle riparazioni di un veicolo appartenente a persona diversa da quella che procede alla consegna del mezzo all’autofficina, richiedendone l’intervento, la Cassazione ha chiarito che, qualora sorga contestazione sull’esistenza del potere di rappresentanza del soggetto che abbia speso il nome altrui, l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza di tale potere compete al terzo contraente che pretenda di addossare al rappresentato gli effetti del contratto concluso a suo nome.
E’ il meccanico a dover provare che il proprietario ha conferito la procura per i lavori
Vale a dire che compete alla parte creditrice che chiede il pagamento della riparazione, dinanzi alle contestazioni della controparte, di provare che il proprietario del veicolo abbia conferito al terzo presentatore la procura necessaria per commissionare a suo nome l’effettuazione delle riparazioni. Nel caso di specie, invece, la sentenza impugnata non si è rivelata conforme a tale principio di diritto perché il giudice d’appello aveva ritenuto sufficiente, ai fini della prova della titolarità passiva del credito, la mera circostanza, ammessa, dell’interesse alla riparazione in capo al proprietario del veicolo. Ma il fatto di avere interesse alla riparazione, chiarisce la Suprema Corte, non si identifica con il fatto di aver conferito un mandato con rappresentanza alla conclusione di un contratto d’opera avente ad oggetto l’effettuazione della riparazione: la mera titolarità dell’interesse, non è quindi sufficiente a integrare la prova del fatto costitutivo posta a carico del creditore.
Non basta il libretto di circolazione come prova
La Cassazione contesta anche l’affermazione del Tribunale secondo cui “quando un terzo porta alla riparazione un veicolo immatricolato e quindi, di regola, ha il libretto di circolazione, in mancanza di una contraria dichiarazione del terzo, il prestatore d’opera deve ritenere speso il nome di colui che dal libretto risulta essere il proprietario del bene, che il terzo agisca quale mandataria con rappresentanza e che, pertanto, il contratto si è concluso con il rappresentato”: questa affermazione, fa notare la Cassazione, è formulata nei termini di una regola generale ed astratta che, tuttavia, non corrisponde ad alcuna massima di comune esperienza.
Di qui la violazione dell’articolo 115 c.p.c. in cui è incorso il tribunale di Modena. in tema di prova per presunzioni, in relazione all’utilizzo di massime o regole d’esperienza: “anche in sede di giudizio di legittimità si deve verificare che il giudizio probatorio non sia fondato su congetture, ovvero ipotesi non fondate su regole generali prive di una sia pur minima plausibilità, invece che su vere e proprie massime di esperienza”. La sentenza impugnata è stata pertanto cassata con rinvio al Tribunale di Modena, in persona di diverso magistrato, che dovrà riesaminare il caso alla luce di questi principi.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!